venerdì 3 marzo 2017

Voce sono. Per una consapevolezza vocale_8

Esperienza sul campo_uno: 

Il canto che fuLa signora Piera


Ho svolto la mia prima Esperienza sul campo presso l'RSA Agostoni di Lissone (MB), in collaborazione con Aral, l'associazione Ricerca Alzheimer di Lissone1. Ho vissuto un percorso formativo esperienziale con la signora Piera, residente nel Nucleo Alzheimer della struttura. A maggio 2015 abbiamo cominciato il percorso nella stanza dei suoni, allestita all'interno della clinica. L'attività si è conclusa a dicembre 2015.

Il percorso ha previsto le tre fasi. Inizialmente io e la signora ci siamo conosciute nel setting musicoterapico, abbiamo cominciato a suonare insieme in modo improvvisato e senza obiettivi specifici. Questi primi incontri sono serviti per cominciare a farmi un'idea di lei, dei suoi lati più solidi e forti e quelli più delicati e sensibili. Abbiamo creato un ambiente di lavoro accogliente, una base sicura e una cornice spazio temporale adatta alla paziente. La signora ha iniziato a esplorare spazi impolverati, trovando in me una compagna presente e non giudicante. Nella seconda fase abbiamo consolidato la nostra relazione basata sulla mediazione sonoro-musicale, mi sono permessa di osare facendo alcune proposte. Successivamente ho cercato di affermare la mia presenza di facilitatrice introducendo creativamente delle novità che si armonizzassero con le resistenze e le competenze residue della paziente.Quando ci siamo conosciute la sig.ra Piera aveva 77 anni, aveva ancora importanti capacità, sia cognitive che fisiche. Parlava correntemente, con una buona sintassi. Sosteneva con prontezza il ritmo di un dialogo a due. Il contenuto dei suoi discorsi non era sempre logico, faceva connessioni irreali e non coerenti, ma in ogni caso non si sottraeva alla risposta verbale. Rispondeva con prontezza alle argomentazioni proposte, benché nei suoi discorsi si potessero riconoscere i segni chiari e vivi della malattia, che la facevano essere vaga e confusa. Nel dialogo a due a volte non ricordava cosa volesse dire, esprimeva questa difficoltà aiutandosi con varie strategie: sorrisi, inventando argomentazioni per associazioni libere o ammettendo di non ricordare e cambiando argomento. Da un punto di vista fisico era capace una di buona autonomia di movimento: si alzava e si sedeva da sola, camminava anche senza il sostegno del deambulatore, con passo morbido ma deciso, gli arti superiori erano abili e aveva una buona presa in entrambe le mani. Aveva prontezza di riflessi agli eventi esterni (rumori, luci e movimenti, …) ai quali rispondeva guardando nella loro direzione di arrivo e commentandoli verbalmente. Spesso collegava i rumori esterni alla stanza (voci, passi, rumori vari) a dai presunti vicini di casa, che, secondo lei, si lamentavano del rumore o che arrivavano per sgridarci.Il setting degli incontri era sempre lo stesso: un tavolino basso con appoggiati gli strumenti musicali, due sedie di colore uguale. Sul tavolino disponevo sempre coppie di strumenti uguali: due flauti dolci, due maracas, due tamburi africani con ciascuno due bacchette di legno, quattro campanelli, il tutto posizionato a specchio per le due partecipanti, più uno jambee.

Da un punto di vista sonoro-musicale la signora Piera aveva una buona padronanza dei principali parametri: cantava con piacere, era intonata, sapeva cambiare tonalità quando opportuno, aveva buon senso ritmico, sia nel canto che nell’uso degli strumenti. Non amava le intensità forti, anzi tendeva a tenere basso il volume, sia nelle improvvisazioni con gli strumenti sia nell'ascolto di musica registrata. Usava volentieri gli strumenti proposti, anche se non sapeva come, ci provava, osava. Utilizzava senza timore le percussioni, gli strumenti a fiato (flauto dolce). A causa della malattia degenerativa la signora Piera solo a momenti sembrava ricordare la stanza dei suoni, me e gli strumenti. Ogni volta li usava in modi nuovi senza preoccuparsi del mio giudizio: le maracas potevano diventare un rasoio da barba, un microfono per cantare, un battente per suonare una percussione. Accoglievo di volta in volta le sue proposte e entravo nella sua realtà, stavo nel suo gioco. Questo permetteva spesso dialoghi sonori fatti di rumori, onomatopee, vocalizzi che volevano imitare il suono dell'oggetto in questione. Non era importante che stessimo usando una maracas con la sua propria funzione o in altro modo, come battente di una percussione, come un microfono o addirittura come un rasoio. La bellezza dei nostri dialoghi erano le nostre voci unite agli strumenti che formavano il nostro suono. In fondo la realtà è quello che noi crediamo che sia e non ci preoccupiamo che le nostre interpretazioni siano corrette o meno. Questa è una visione che può essere applicata a chiunque, a grandi e piccoli e in particolar modo a persone affette da malattie degenerative come l'Alzheimer. Come dice il filosofo Krishnamurti bisogna saper distinguere tra ciò che è reale, cioè il frutto della nostra razionalità, e la verità del mondo, quella che è di per sé. Krishnamurti dice:“Qualunque cosa il pensiero pensi in modo ragionevole oppure no, è una realtà. Può essere distorta o ragionata con chiarezza, ma è sempre una realtà. Tale realtà, direi, non ha nulla a che vedere con la verità (...) Il falso è reale ma non è vero”2.A Piera piaceva il canto. “Le è sempre piaciuto” diceva la figlia. Nei nostri dialoghi sonori c'è sempre stato, sia con improvvisazioni a parole inesistenti che con melodie inventate e con riproposizione di canti della sua biografia musicale. I sui brani erano: La domenica andando alla messa, cantata da Gigliola Cinquetti3, da cui, una volta introdotto, difficilmente si discostava se non per introdurre Piemontesina bella4, un canto popolare piemontese. Da una prospettiva clinica l'Alzheimer è una malattia degenerativa che intacca la memoria, in particolare quella a breve termine. E' normale che un paziente ricordi immagini e fatti avvenuti molti anni prima, ma scorda velocemente ciò che è appena successo. Nella stanza dei suoni accade la stessa cosa: melodie e canzoni del passato sono vive e cariche di significato emozionale e dotate di un senso proprio che rimane congelato nel tempo. Per la signora Piera cantare significava spesso approdare a uno di questi canti. Ricordava il testo di entrambi. Nel caso non lo ricordasse, lo inventava al momento, strategia spesso utilizzata da chi, come lei, ha una forte personalità. Non poteva permettersi di non ricordare, piuttosto inventava facendo finta di nulla. Non sapeva collegare queste melodie a nessun ricordo, nessun aneddoto di vita passata. Il canto di questi due brani aveva un significato emozionale inconscio, forse legato ai ricordi del passato o forse era solo una base sicura su cui appoggiarsi per non dover andare oltre. Sicuramente si generava in lei una sensazione di benessere, leggibile nel suo sorriso, nel rilassamento corporeo e nel respiro che diventava progressivamente più rilassato e morbido. Questo uso del canto aveva un senso anche perché stimolava le capacità cognitive residue legate alla memoria a lungo termine rispetto alla melodia e al testo delle canzoni. Rimane una domanda a cui non abbiamo avuto modo di rispondere per la conclusione del nostro percorso: in che misura questa pratica potesse essere uno strumento di fuga, un tentativo si scappare in un luogo e in un tempo della mente diversi, nel tentativo di trovare serenità nella rievocazione di un passato di gioventù?Il rispecchiamentoUn'altra modalità di usare il canale vocale nella relazione è stato il dialogo ritmico, una comunicazione in forma di botta e risposta, molto ritmata e dotata di un senso proprio, altro rispetto al dialogo verbale classico. Si alternava la ripetizione di cellule ritmico-melodiche, senza struttura predefinita, composte da sillabe semplici, per esempio BA - BA - BA, BA - BA - BA. Erano brevi momenti, carichi di energia e senso proprio. Questi dialoghi avevano spesso il carattere del rispecchiamento nel momento in cui una delle due proponeva e l'altra rispondeva ripetendo la stessa forma vocale, esattamente uguale nei parametri del suono (intensità, altezza, velocità, ritmo). Una volta instaurata una buona relazione, di volta in volta, abbiamo osato delle sintonizzazioni inesatte, per dirla alla Postacchini5. Le sintonizzazioni inesatte si costruiscono su un pensiero elaborativo, sulla possibilità di affrontare una variazione che consente di sperimentare il campo dell'inedito e di aprire la mente a nuove strategie di funzionamento. Alla cellula ritmica proposta seguiva una risposta con piccole variazioni: BA - BA - BA / BO - BO - BO / BE - BE - BE / BU - BU - BU, e via di seguito. Questi momenti erano divertenti, originali, spesso si concludevano in una risata comune. Si costruivano veri e propri linguaggi, alternando canale verbale, para-verbale e non verbale. Il canale verbale può essere formato da parole dotate di senso inserite in una sintassi congruente. Il canale paraverbale è dato da toni, velocità, timbri, volumi diversi dal solito e opportunamente modulati per dare senso al dialogo. Il canale non verbale è tutto l'insieme dalle posture, dei movimenti, le posizioni di seduta, la direzione degli sguardi. Inoltre in una relazione il guardarsi negli occhi costruisce un ponte verso una maggiore intimità. Guardarsi negli occhi oppure no dice tanto sulla qualità della relazione. Piera a volte mi guardava fissa negli occhi, usava avvicinare le mani alla mia testa fingendo di volermi dare una sberla. Lo faceva ridendo e dicendomi “Stai attenta che te le dò”, che ero come le sue figlie. In questa sorta di role play (gioco di ruolo) era come se lei ritornasse nel registro della mamma che vuole affermare il proprio ruolo mentre io assumevo le sembianze della figlia da educare. I nostri giochi vocali spesso diventavano occasione per improvvisare sezioni di veloci botta e risposta in un linguaggio inventato, con parole dotate di senso in una frase sgrammaticata o in forma di lallazione. Ciascuna emetteva dei suoni della durata di al massimo due-tre secondi e subito l'altra rispondeva dicendo qualcos'altro di ugualmente sensato ma senza significato oggettivo. Il tutto avveniva velocemente, senza pause, come su una giostra. Trovo che queste esperienze fossero occasione di grande ossigenazione emotiva per la signora. La dimensione temporale di questi attimi era quella che Daniel Stern (2005) definisce momento presente, l'unità temporale in cui la mente elabora il messaggio che arriva. Dura in media tre-quattro secondi. In questo attimo la mente unisce gli stimoli costruendo insiemi significativi. Tali processi sono legati al tempo dei fonemi e dei sintagmi che compongono una frase che non dura più di tre secondi. Anche in musica e nel canto, come nel linguaggio parlato, l'intervallo di tre-quattro secondi è il più comune: i turni di vocalizzazione tra noi duravano pochi attimi, come avviene nella comunicazione verbale tra la mamma e il neonato. Intuendo quanta fatica potesse fare la signora Piera nel selezionare le giuste parole nell'archivio della memoria ormai compromessa, è comprensibile come invece fosse istintivo tornare alla lallazione mamma-bimbo. Sfruttava queste strategie non solo per piacere, infatti manifestava un certo fastidio appena il momento era concluso. Piuttosto per comodità, perché istintivamente la mente portava lì. Le malattie degenerative senili possono portare alla parziale compromissione del canale verbale o, nei casi più gravi, alla completa afasia. La signora Piera si stupiva di non essere in grado di usare la parola nel modo abituale, mostrava disagio e spaesamento. Sperimentava con stupore e con velata soddisfazione e incredulità il linguaggio paraverbale. Il rinforzo della mia risposta sembrava essere un sostegno per lei. Questo apriva possibilità di espressione che in altri momenti della giornata forse le erano meno familiari.La risatala risata è un'altra strategia vocale dal carattere trasformativo che ha trovato significativi attimi nella relazione con la signora Piera. Merita necessariamente qualche riflessione. La scienza ci dice che durante una risata le strutture nervose periferiche del cervello producono le endorfine, sostanze chimiche dotate di una potente attività analgesica e eccitante. Le endorfine esercitano sul corpo umano un effetto simile alla morfina o alle sostanze oppiacee regolando l'umore. Vengono rilasciate nel nostro organismo in situazioni di piacere e rilassamento, ma anche in particolari situazioni di stress come forma di difesa in modo da poter sopportare meglio la sofferenza fisica e psicologica. Gli effetti benefici della risata sono quindi confermati da studi scientifici. Ridere coinvolge tutte le parti del corpo: il cuore, la respirazione, il battito cardiaco, la pressione arteriosa, la muscolatura. Più la risata è spontanea tanto più si scioglie la tensione psicofisica, si attiva una auto regolarizzazione delle funzioni corporee e si ha la sensazione di benessere. Il buon umore rafforza l'organismo aumentando le difese immunitarie. Al contrario invece stati depressivi favoriscono l'insorgere delle malattie e il loro aggravamento. Da qui nasce la Terapia della risata, una disciplina paramedica nata negli Stati Uniti negli anni '70 e ora diffusa in molti istituti sanitari di tutto il mondo. La risata è un evento sonoro vocale, infatti può essere descritta attraverso i parametri musicali. Ecco che si apre una lettura finalizzata del suo senso comunicativo e relazionale. Come succede a un brano musicale, anche la risata esprime emozioni, stati d'animo, pensieri e suscita le reazioni più diverse: conferma, rinforzo, disconferma, rifiuto, e così via. Nella relazione con la signora Piera ho osservato che le nostre risate erano tante, diverse, funzionali al momento presente. In alcuni attimi il suo riso trasmetteva senso di dispersione, di inadeguatezza, un esorcismo verso il suo stato. In altri casi era una genuina manifestazione di piacere rispetto a quello che c'era. C'è una forte simbiosi emotiva quando due risate avvengono a specchio, con uguali altezza durata, intensità, ritmo. Quando si ride all'unisono ci si unisce e si accorda la sintonia. La risata è di per sé energia, suono, vibrazione, relazione. Nell'unisono io e Piera eravamo in contatto, ci guardavamo negli occhi per confermarci reciprocamente, esprimevamo emozioni genuine, istintive, primordiali. La risata guadagna carattere strategico quando il verbale è in parte o completamente compromesso. La paziente rideva quando non sapeva cosa dire, quando la parola veniva meno, e lì trovava rifugio. La risata si introduceva quando la sollecitazione emotiva raggiungeva un livello eccessivo, troppo forte da sostenere. Piera liberava le proprie emozioni in questo modo, spesso anche per smettere di suonare, anche solo per qualche istante, per un attimo di tregua, o forse proprio per scappare dalle emozioni che, forse, aveva timore a contattare.Il respiroLa signora Piera, osservata nel suo ambiente di vita quotidiana, aveva un respiro regolare e non molto ampio, intervallato qui e là da profondi sospiri. Nei nostri incontri, nei momenti emotivamente più forti, si interrompeva ostentando un fiatone decisamente marcato e sonoro. Lamentava qualche mancamento di fiato e capogiri. Dopo aver verificato con la signora e con il personale medico di riferimento che queste dichiarazioni erano eccessive rispetto al normale, abbiamo progressivamente integrato l'attività musicale con alcuni esercizi di respirazione aiutati dal movimento su e giù delle braccia. Questo permetteva di dedicare la giusta attenzione all'ascolto del respiro in modo che diventasse progressivamente più profondo e regolare. Mi sincronizzavo con il suo movimento respiratorio per rispecchiare anche questo aspetto. Nel canto prendevo fiato insieme a lei, quando suonavamo i flauti aspettavo i suoi tempi sincronizzandomi con i suoi inspiri e espiri. A volte, dopo aver suonato o cantato senza un eccessivo dispendio di energie fisiche, Piera mostrava segni di fatica respiratoria. Ho dedicato attenzione a queste manifestazioni e le ho spiegate come una fuga dalla situazione presente, dei tentativi strategici di portare attenzione sulla presunta stanchezza piuttosto che sul suo vissuto emotivo. La rassicuravo aspettando che prendesse fiato per poi riaccompagnarla in un respiro tranquillo e regolare. Respiravo con lei, chiedendole di raccontarmi come stava, cosa provava. La verbalizzazione diventava così un canale di espressione facilitante per lei. Tornata alla tranquillità Piera esprimeva il suo vissuto rispetto all'esperienza appena conclusa, portando ricordi del passato, immagini metaforiche o altre associazioni libere e improvvisate.

Il grido della presenzaUn'ultima, ma non meno importante, manifestazione vocale dell'emotività della signora era il grido nervoso. Spesso ci permettevamo di suonare con decisione, di accendere toni forti e manifestare grande energia. Lei pareva divertirsi e stare bene. Poi, improvvisamente, senza preavviso, interrompeva il suonare per cambiare espressione. Cominciava a lamentarsi del volume alto, mi sgridava per qualcosa che avevo fatto o stavo facendo, diceva che dovevamo smettere e che doveva andare via. In alcuni momenti faceva anche il gesto di alzarsi, ma poi subito si riadagiava sulla sedia. In alcune occasioni restavo in ascolto mantenendo la calma, ma a volte mi permettevo di stare nel suo registro, di risponderle, di alzare la voce insieme a lei. Ecco che la mia decisa partecipazione rinforzava il suo stato di tensione. Iniziavamo così una serie di battute verbali in forma di botta e risposta con o senza senso verbale, nelle forme già descritte. Lo sfogo vocale della signora assumeva una forma significativa perché permetteva un'espressione decisa del suo stato d'animo e confermava che la nostra relazione era solida e si basava su un buon grado di fiducia reciproca. Il tutto finiva nella conclusione della sgridata, in un respiro e poi in una risata comune. Successivamente si concedeva un silenzio che io rispettavo. Dopodiché ricominciavamo a suonare come se nulla fosse successo.


1aralonlus.blogspot.it

2 Krishnamurti J., (1978), Verità e realtà, Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma

3 https://www.youtube.com/watch?v=lDUx0FgcHp4

4 https://www.youtube.com/watch?v=nEPSQ6uKVY8

5 Postacchini P.L., Ricciotti A., Borghesi M. (2014), Musicoterapia, Carocci, Roma (pag 106-107)

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